

(Villa Santina, 1921 - Bedford Pennsylvania, 1952)
La soluzione distributiva della pianta vede la netta separazione della zona servizi dalla zona padronale, mediante un lungo muro trasversale continuo. Le varie fasi del progetto, con le modifiche avvenute dalla prima stesura (1949) alla soluzione definitiva realizzata nel 1950, sottolineano la progressiva ricerca di un’articolazione planimetrica e volumetrica ottenuta in questo caso con lo slittamento, secondo una inclinazione di quarantacinque gradi, degli spazi del soggiorno-salotto e delle camere padronali (queste sembra quasi protendersi verso due alberi preesistenti nel giardino). La pianta si presenta ritmata dai setti del soggiorno-salotto e dal muro trasversale; questi elementi consentono un’articolazione dell’ambiente, concepito come spazio unico all’interno dell’edificio. Così la zona pranzo ed il soggiorno sono un solo ambiente che riceve luce da un piccolo patio ad est, nonché, ad ovest, dal giardino verso il quale si affaccia con ampie vetrate. Nel giardino, una vasca d’acqua, funge da elemento riflettente e permette alla luce di entrare ed espandersi negli ambienti interni. Una seconda vasca, non realizzata, era prevista nel patio ad est. L’importanza del soggiorno, contenete l’elemento cardine dello spazio: il camino in pietra e mattoni; è indicata dallo stesso progettista.
In una lettera al committente, volta a convincerlo della finitura in marmorino da adottare nel soffitto del soggiorno, Masieri, sintetizza la filosofia del progetto:
“ingresso con accentuato senso di verticalità; giardino inteso come “ambiente”;
patio considerato come presa di luce; soffitto del salotto inteso come “piastra
radente” che raccoglie ai due lati le vibrazioni di luce degli ambienti
rettangolari (un lato già esistente); avrebbe dovuto avere, a lavoro ultimato,
un carattere tale il cui senso di accoglimento, date le premesse, si poteva
realizzare solamente con una superficie superiore morbida, delicata e
soprattutto trasparente”. (Brano tratto dalla lettera di Masieri all’Ingegnere
Luciano Giacomuzzi in data 6-12-1949).
La costruzione venne realizzata nella parte monumentale del cimitero del comune di Udine; se ci si reca sul posto si ha un po' di difficoltà a scovarla, essa è posizionata con il fronte principale che affaccia su di un viale secondario, che conduce dalla parte ovest del cimitero al viale centrale (in asse con la chiesa).
Ultima opera realizzata dall’architetto, quasi volesse essere un triste presagio dell’immediato futuro, la tomba realizzata per la famiglia Veritti è certamente l’opera più nota e quella che riesce a rappresentare in maniera più eclatante il rapporto con la poetica scarpiana. L’opera è il frutto di attenta e sofferta mediazione progettuale come testimoniano i numerosissimi schizzi di studio e le molteplici varianti ipotizzate. La tomba è un evidente e riuscito esempio dell’applicazione dell’insegnamento wrightiano sul rapporto fra architettura e natura. Masieri riduce il sacello ad una sorta di dado scoperchiato sul quale interviene con tagli curvilinei e sottili aperture.
Il progetto è concepito come un piccolo recinto erboso (ora non più tale), racchiuso da muri in massello di botticino di differenti misure. Ad esso si accede da un ampio foro, chiuso, nella parte inferiore, da cancelletto ruotante su perno in ferro brunito decorato da piccole croci che mette in relazione l’interno e l’esterno.
Nella cella il casellario dei loculi è ricoperto da lastre in marmo rosso di differenti misure così da definire una tessitura geometrica e da diversificare, la parete di fondo che reca le iscrizioni dei defunti in caratteri, anch’essi opera di progetto da parte dell’architetto. Un ampio disco di bronzo ossidato, fissato su perni metallici posti sul muro, e sospeso ad un attacco portato da una trave metallica, copre in parte il recinto funerario racchiudente, ora, una piccola pianta d’ulivo andata a sostituire quella originaria. Particolarmente ricercata e tormentata risulta la definizione del cancello d’ingresso che vuol essere quasi una metafora fra il mondo dei vivi e quello dei morti. Masieri dopo aver ipotizzato una chiusura piena a due ante, probabilmente sempre in pietra botticino ruotante su perni metallici, e forata da piccoli inserti quadrati in cui inscrivere il motivo della croce, opta per un’apertura lunata in muntzmetal ruotante su un perno verticale. Questo è affiancato da una lastra a spicchio che regge l’elemento in massello di pietra contenente i fiori. L’opera presenta un continuo compenetrarsi di pieni e di vuoti interrotto dallo spicchio cieco, il bruno del metallo ed il bianco della pietra concorrono a determinare una sintassi del continuo variare in una equilibrata armonia di classiche proporzioni.
"Ma dove colsi, lo spro vivamente, il supremo
anelito delle sie ambizioni fu quando mi condusse a vedere un "Palladio-Wright",
meraviglioso, straordinario"E cioè Palazzo Antonini:"qui per un fortunato intervento aggiuntivo di
data recente sull'antica costruzione, lo schema classico, pur sempre così umano
nelle architetture venete, diventa ancor più trepido per il forte aggetto della
nuova gronda affettuosamente protettrice (...). A questa sintesimirava
l'architetto Masieri? A questo dialettico contrappunto della Natura e della
Geometria?"Rogers formula questi giudizi sulle pagine della
rivista "Metron", rivista che esprime gli ideali e i riferimenti comuni ad una
generazione di artisti che si riconoscevano nei principi della carta dell'APAO
(Associazione per l'architettura organica).